Con il Recovery Fund si fa riferimento ad uno specifico meccanismo di supporto economico e finanziario incluso nel Next Generation EU, un piano da 750 miliardi il cui accordo è stato raggiunto tra gli Stati membri nel novembre 2020 dopo non poche difficoltà, perlopiù dovute alla distanza di posizione tra i Paesi finanziariamente meno virtuosi ed i cosiddetti “frugali” del Nord Europa, ma che alla fine ha generato un risultato mai conseguito finora: per la prima volta l’UE si dota di uno strumento realmente comunitario e condiviso, pensato per fronteggiare e superare la crisi pandemica.

La missione di Next Generation EU è ben definita: sostenere gli Stati membri nel processo di riforme e di investimenti, pubblici e privati, incentivando in modo particolare innovazione, ambiente, digitalizzazione.

750 miliardi di euro, dunque, così suddivisi: 390 miliardi di sovvenzioni (grants, risorse a fondo perduto) e 360 miliardi di prestiti (loans, da restituire entro il 2058). Di questa enorme somma di denaro, l’Italia può contare su 209 miliardi circa, ripartiti tra 81,5 miliardi di grants e 127,5 di loans.

A questo punto la domanda sorge spontanea: da dove arrivano questi soldi?

Il funding è quasi totalmente delegato al mercato, attraverso l’emissione di debito comunitario il cui rimborso sarà spalmato sui futuri piani di bilancio, tra il 2028 ed il 2058. I singoli Stati saranno comunque chiamati a farsi carico di un contributo pari al 2% del proprio PIL: questo consentirà di potenziare la fiducia degli investitori internazionali e di migliorare la solidità del debito, attraverso emissioni con rating di massimo livello, pertanto meno onerose e volatili rispetto a quelle dei singoli Stati.

LE CIFRE IN GIOCO: ALCUNI DETTAGLI

Inquadrata la funzione generale dello strumento e le modalità di finanziamento, entriamo più nel dettaglio cercando di capire quali sono i numeri che Next Generation EU mette a disposizione degli Stati membri per i vari capitoli di spesa.

Come detto, stiamo parlando di 750 miliardi così frazionati (fonte ufficiale, consilium.europa.eu):

Come si vede, oltre a risorse funzionali a innovazione e digitalizzazione per 10,6 miliardi (stanziati in “Orizzonte Europa” e “InvestEU”), e ad ulteriori 17,5 miliardi dedicati a risorse naturali ed ambiente (“Fondo per una transizione giusta” e “Sviluppo rurale”), la netta prevalenza di prestiti e sovvenzioni è dedicata al “Dispositivo per la ripresa e la resilienza”. Stiamo parlando del meccanismo chiamato “The Recovery and Resilience Facility”, dalle cui iniziali deriva l’espressione utilizzata più comunemente nella prassi: il Recovery Fund.

È questo, dunque, il principale “oggetto del desiderio” che, come noto, ammonta per l’Italia a 209 miliardi di euro. Vediamo allora quali regole sono previste per poter attingere a questo impressionante serbatoio di denaro.

COME SI OTTENGONO LE RISORSE

l’ottenimento delle risorse passa dal cosiddetto Recovery Plan o più tecnicamente PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza che l’Italia (come ogni Stato membro) deve presentare alla Commissione Europea.

La redazione di questo documento è molto complessa, tecnica, analitica. Molto di più di quanto concerne una normale legge di Bilancio, che come sappiamo è già un documento estremamente delicato per gli equilibri finanziari di un Paese.

Da un lato, il PNRR prevede infatti che vengano individuati precisi investimenti da realizzare grazie ai trasferimenti europei: non obiettivi generici e ridondanti (aumentare la coesione sociale, ridurre le differenze tra Nord e Sud, migliorare la distribuzione del reddito e così via), ma opere specifiche di natura strategica e strutturale.

Dall’altro lato, il PNRR prevede altresì che la relazione sia accompagnata da dettagliate analisi econometriche, funzionali a quantificare il ritorno atteso dell’investimento, l’analisi costi/benefici, l’impatto economico di ciò che si intende attuare. In altre parole, da questo documento la Commissione vuole conoscere il valore aggiunto di quanto va a finanziare, per poterlo misurare e soprattutto verificare in corso d’opera.

In assenza di tutto questo, il Recovery Fund non effettua alcun pagamento

CONCLUSIONI

L’Unione Europea ha palesato nella sua storia recente molti limiti e inefficienze che, a distanza di quasi 30 anni dalla sua nascita, ne hanno rallentato la crescita. Tuttavia, la quantità e la qualità dei supporti stanziati dallo scoppio della pandemia sono un fatto oggettivo e per molti aspetti sorprendente. A tutto ciò si aggiungono – è doveroso ricordarlo – ulteriori dotazioni di bilancio nel periodo 2021-2027 di 1.074 miliardi. Sommati al Recovery Fund stiamo parlando di oltre 1.800 miliardi di euro in pochi anni, senza contare l’enorme aiuto fornito indirettamente dalle operazioni della BCE.

Per questo sforzo, per la straordinarietà della situazione che stiamo attraverso, e anche per onorare il nome che porta questo poderoso sistema che è stato costruito – Next Generation EU – sarà determinante che tutto questo non venga vanificato.

È questa la partita che bisognerà portare a termine con successo. Una partita lunga ed appena iniziata, ma nella quale non è possibile distrarsi un attimo.